La presenza dei Romani sui colli Albani e il controllo su entrambi i lati della via Latina ostacolavano i piani commerciali degli Etruschi, di Veio in particolare che dovette optare per l’utilizzo di una strada più ad Est che attraversava il Tevere a Fidenae. Da qui la strada proseguiva sulla valle del Trerus, quindi sulla valle del Liri per poi giungere in Campania. Fidenae era dunque un luogo cruciale per i commerci etrusco-campani. Da qui la lunga contesa per il suo controllo tra Veio e Roma conclusa a favore di quest’ultima nel 426 A.C con la contestuale uccisione del re di Veio, Larte Tolumnio da parte di A. Cornelio Crasso che ne consacrò le spoglie opime al tempio di Giove Feretrio. Con la conquista di Fidenae, resa possibile dalla precedente pacificazione del Lazio Centrale ( e culminata nella vittoria del Monte Algido), e la presenza sulla via latina Roma aveva il controllo dei traffici commerciali verso la Campania. A rendere più solida questa posizione un antico foedus con Lavinio che impediva colpi di mano dei Volsci da sud-ovest, nella Pianura Pontina. Roma aveva inoltre rafforzato la sua testa di ponte sul Tevere, verso l’area del Gianicolo, riuscendo però a mantenere buoni rapporti con Caere, l’altra fiorente città dell’Etruria meridionale. L’amicizia con Roma nasceva dalla rivalità commerciale di Caere con Veio.
Alla fine del V sec. Si erano crete le condizioni per il predominio di Roma sul Lazio, una preminenza che si stava affermando già in età regia ma che aveva avuto una battuta d’arresto in virtù dei contrasti sociali interni tra patrizi e plebei.
In questo periodo Roma riprende a svilupparsi anche sul piano economico: ciò è dimostrato dal fatto che i questori, incaricati già in età regia dell’amministrazione finanziaria e delle istruttorie giudiziarie, vennero portati da due a quattro nel 421 a.C, diventando anche i custodi del tesoro pubblico conservato nel tempio di Saturnio e ricavato dall’incasso delle multe calcolato probabilmente in proporzione al reddito di ognuno, e non più con lo stesso importo per tutti.
Proseguì anche lo sviluppo sociale: a testimoniarlo l’accesso alla carica di questore per i plebei nel 409 a.c e la loro aumentata presenza tra i tribuni militari. Questi ultimi vennero portati nel 405 A.C da quattro a sei a indicare un incremento delle fila dell’esercito e contestualmente un aumento della popolazione.
sabato 24 aprile 2010
mercoledì 21 aprile 2010
Con la battaglia di Pavia ( 1525) si afferma il tercio spagnolo

La schiacciante vittoria riportata a Pavia il 25 febbraio 1525 dalle truppe imperiali di Carlo V su quelle di Francesco I di Francia segnò la decisiva battuta di arresto francese nel tentativo di acquisire il controllo dell'Italia Settentrionale. La sua importanza non fu solo politica ma rappresentò un importante passaggio nella strategia militare dal modo di combattere di stampo medievale a quello moderno. I numerosi nobili francesi catturati stavano a dimostrare il declino dei tradizionali uomini d'arme medievali. La fanteria di Carlo V aveva preso il sopravvento e i nuovi reparti equipaggiati con le armi da fuoco avevano avuto un ruolo determinante per le sorti della battaglia. I mercenari svizzeri del re di Francia avevano ceduto ai tercios spagnoli, formazioni miste di picchieri, archibugieri e di soldati armati di spada che si erano mostrati più equilibrate e più facili da manovrare. Il tercio, unità composta da circa 3000 uomini, rigorosamente soldati di professione e ottimamente addestrati, sarebbe divenuto la formazione modello nei campi di battaglia per i successivi decenni e avrebbe costituito la base di quella formidabile macchina da guerra che assicurò alla Spagna il predominio militare per quasi un secolo, almeno fino alla guerra dei trent'anni
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lunedì 19 aprile 2010
L'elezione di Carlo V a imperatore comprata con i soldi delle banche
L'elemento decisivo nella corsa per il trono imperiale tra Carlo d'Asburgo e Francesco I di Francia fu il denaro con cui venne comprato il voto degli Elettori. Costoro pur mostrandosi sensibili alle rivendicazioni di Carlo I di Spagna approfittarono della concorrenza per far salire il prezzo. E in campo finanziario gli argomenti di Carlo si dimostrarono molto più convincenti di quelli del re di Francia. Il denaro poteva essere riscosso solo dai banchieri tedeschi schierati dalla parte di Carlo. Jacob Fugger, detto il Ricco, il più potente di loro, si oppose alle richieste di Francesco I che poteva così disporre solo dei denari provenienti dalla Francia. Per far giungere i soldi agli Elettori gli agenti francesi dovettero trasportarli lungo il Reno per eludere la sorveglianza posta sulle principali vie d'accesso dai soldati nemici. Da parte sua, Carlo trattò con solidi banchieri quali i Wielser di Augusta, i Gualterotti di Firenze, i Fornari e i Grimaldi di Genova che gli diedero un prestito di 300000 fiorini sotto forma di cambiali da versare presso Jacob Fugger che a sua volta aggiunse 500000 fiorini. Gli Elettori ricevettero le cambiali che erano titoli negoziabili dopo l'elezione.
Il 28 giugno 1519 il re di Spagna Carlo I venne eletto imperatore assumendo il nome di Carlo V. Ben presto venne il momento di coprire i vasti debiti ( circa 850000 fiorini) contratti per acquisire il titolo imperiale. Jacob Fugger, il principale dei suoi finanziatori, scriveva senza pudore all'imperatore : " è di dominio pubblico e chiaro come il sole che Vostra Maestà imperiale non avrebbe potuto,senza di me, ottenere la corona imperiale". Carlo V dovette firmare una fideiussione di 300000 fiorini sui tesori di Castiglia e d'Aragona, impegnandosi per il resto con una promessa verbale. Nel 1522 venne raggiunto un accordo a Bruxelles con cui Carlo cedeva il patrimonio degli Asburgo al fratello Ferdinando, promettendogli la corona dei Romani. In cambio Ferdinando cedette ai Fugger delle concessioni minerarie nel Tirolo a risarcimento delle somme dovute. Passeranno parecchi anni prima che il debito venga saldato integralmente.
Il 28 giugno 1519 il re di Spagna Carlo I venne eletto imperatore assumendo il nome di Carlo V. Ben presto venne il momento di coprire i vasti debiti ( circa 850000 fiorini) contratti per acquisire il titolo imperiale. Jacob Fugger, il principale dei suoi finanziatori, scriveva senza pudore all'imperatore : " è di dominio pubblico e chiaro come il sole che Vostra Maestà imperiale non avrebbe potuto,senza di me, ottenere la corona imperiale". Carlo V dovette firmare una fideiussione di 300000 fiorini sui tesori di Castiglia e d'Aragona, impegnandosi per il resto con una promessa verbale. Nel 1522 venne raggiunto un accordo a Bruxelles con cui Carlo cedeva il patrimonio degli Asburgo al fratello Ferdinando, promettendogli la corona dei Romani. In cambio Ferdinando cedette ai Fugger delle concessioni minerarie nel Tirolo a risarcimento delle somme dovute. Passeranno parecchi anni prima che il debito venga saldato integralmente.
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sabato 17 aprile 2010
Pietro Cavallini

Pietro Cavallini ( 1273-1321) è stato un pittore romano attivo fra Duecento e Trecento. Benchè assai apprezzato dagli storiografici i documenti sulla sua vita sono frammentari. La prima opera in cui egli mostra appieno le sue capacità sono i mosaici dell’abside della chiesa di Santa Maria in Trastevere risalenti al 1290 circa, e commissionati da Bertoldo Stefaneschi. In essi troviamo il clima del gotico pregiottesco con influenze di Cimabue e Duccio da Boninsegna,anche se in lui vi è il difetto della mancanza di proporzioni nelle figure. In quegli stessi anni lavora agli affreschi di Santa Cecilia in Trastevere, la stessa chiesa per la quale contemporaneamente Arnolfo di Cambio realizzava il ciborio datato 1293. Dopo il trasferimento nel 1305 della corte papale ad Avignone per Cavallini si ebbe un periodo di minori commesse. Nel 1308 si trasferì alla corte di Roberto d'Angiò a Napoli per il quale decorò la chiesa di Santa Maria Donnaregina, la cappella di San Paolo in Duomo, la cappella Brancaccio nella chiesa di San Domenico maggiore. verso il 1320 Pietro Cavallini rientrò a Roma e su incarico di papa Giovanni XXII realizzò la sua ultima opera: una decorazione a mosaico della facciata di San Paolo fuori le Mura.
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mercoledì 14 aprile 2010
I Romani sui Colli Albani. L'ascesa dei plebei con la lex Iulia e la lex Canuleia
A Roma , nella seconda metà del V secolo A.c emergeva un quadro sociale in cui era chiara l’ascesa dei plebei. La concessione di terre nell’Aventino ( 456 a.c) fatta con la lex Iulia, la codificazione scritta decemvirale del 451-450 A.c ( meglio nota come leggi delle Dodici tavole) sollecitata dai patrizi per sottrarsi all’arbitrio di leggi consuetudinarie applicate da magistrati patrizi che monopolizzavano le magistrature statali, infine la lex Canuleia che aboliva il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei codificato appena cinque anni prima dai patrizi in un estremo tentativo di rinchiudersi in casta separata devono essere considerate tutte espressioni di questa tendenza. A questo processo contribuì la soluzione di compromesso per l’ammissione dei plebei, sinora esclusi, alle magistrature supreme, con la sospensione periodica del consolato e il conferimento dei poteri agli annuali tribuni militari patrizi e plebei. Di conseguenza venne a esserci una maggiore disponibilità verso i problemi esterni tanto più che per un verso la pressione degli Etruschi si era allentata a causa della penetrazione delle marinerie greche davanti alle coste dell’Etruria, e contemporanea si era assistito a un diradarsi delle scorrerie dei Sabini dopo che alcuni loro avamposti si erano venuti insediando stabilmente tra il Tevere e l’Aniene, costituendo un ostacolo ai nuovi assalti dei loro connazionali che erano rimasti nelle zona più interna. Anzi con questi Roma istituì rapporti di collaborazione per ciò che concerne la transumanza delle greggi e il commercio del sale. Reso più sicuro il fronte settentrionale Roma potè volgere l’attenzione verso il Lazio meridionale dove i Volsci, insediatisi in centri come Anzio, Satirico, Ecetra, avevano anch’essi perduta la loro iniziale bellicosità.
I Romani erano ora presenti anche sui colli Albani, che erano oggetto delle continue pressioni dei Volsci. Nel 431 A.C un loro esercito guidato dal console A. Postumio Tuberto, accorse in aiuto dei Latini in virtù delle clausole del Foedus Cassianum e ottenne una importante vittoria nei confronti dei Volsci e degli Equi. Una parte della critica moderna ha cercato vanamente di dimostrare che Tuberto fosse un comandante latino abusivamente inserito dai Romani nelle loro fila per vanagloria personale. Dopo la battaglia sull’Algido anche gli Equi perdettero la loro antica aggressività . Nei territori ad essi sottratti i Romani fondarono delle piccole località in cui insediare coloni: Boia, Corbio, Vitella, Verrugo, Labici, Cervantum. In questo modo venne creata un testa di ponte sui colli Albani verso i territori confinate con Tuscolo e Preneste che consentì ai Romani il controllo del territorio su cui sarebbe sorta la futura via Latina, strada di congiunzione commerciale tra Etruria e Campania.
I Romani erano ora presenti anche sui colli Albani, che erano oggetto delle continue pressioni dei Volsci. Nel 431 A.C un loro esercito guidato dal console A. Postumio Tuberto, accorse in aiuto dei Latini in virtù delle clausole del Foedus Cassianum e ottenne una importante vittoria nei confronti dei Volsci e degli Equi. Una parte della critica moderna ha cercato vanamente di dimostrare che Tuberto fosse un comandante latino abusivamente inserito dai Romani nelle loro fila per vanagloria personale. Dopo la battaglia sull’Algido anche gli Equi perdettero la loro antica aggressività . Nei territori ad essi sottratti i Romani fondarono delle piccole località in cui insediare coloni: Boia, Corbio, Vitella, Verrugo, Labici, Cervantum. In questo modo venne creata un testa di ponte sui colli Albani verso i territori confinate con Tuscolo e Preneste che consentì ai Romani il controllo del territorio su cui sarebbe sorta la futura via Latina, strada di congiunzione commerciale tra Etruria e Campania.
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lunedì 12 aprile 2010
Gli Ernici
Gli Ernici ( lat. Hernici ) erano un'antica popolazione del Lazio, stanziata a sud est di Roma, tra il lago Fucino e il fiume Trerus ( odierno Sacco). Di probabile stirpe sabina , essi si erano riuniti in una federazione avente come principale città Anagnia (Anagni). Altre importanti città errano Aletrium e ferentinum. Durante il regno di Tarquinio il Superbo stipularono un patto di amicizia e di alleanza con i Romani; tuttavia quando il re venne spodestato decisero di prestargli aiuto nel suo fallito tentativo di rimpossessarsi del potere; Successivamente nel 487 A.C si ebbero alcune loro incursioni nel territorio romano; riuscirono a ottenere poco dopo una nuova alleanza in parità di diritti con i Romani. Ruppero di nuovo gli accordi nel 386 e nel 306, ma i Romani li sconfissero sciogliendo la loro federazione sciolta. Mentre le città di Ferentinum, Alatrium e Veroli ebbero lo status di municipia liberi, il resto del paese venne annesso al Lazio e affidato al controllo di prefetti. Nel III secolo a.C. si fusero con i Latini e ottennero la cittadinanza romana.
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sabato 10 aprile 2010
Indice: Carlo V imperatore
giovedì 8 aprile 2010
L'alleanza tra Romani e Latini contro le incursioni di Equi e Volsci ( prima metà del V secolo a.C)
Durante il V sec a.C., nonostante a Roma prendesse piede la lotta interna tra patrizi e plebei, con questi ultimi organizzatisi quasi come uno Stato dentro lo Stato con propri rappresentanti ( i tribuni), la città si mostro sempre presente nelle guerre di difesa contro l’assalto dei popoli appenninici, in particolare, Volsci, Equi, Sabini. Questa aggressioni bloccarono lo sviluppo dello Stato romano, tanto più che a settentrione premevano anche gli Etruschi di Veio, con i quali comincerà un conflitto secolare che avrà il suo epilogo solo nel 396 a.c con la distruzione della città etrusca.
Sin dall’inizio del V secolo a.C. la pressione dei Volsci era molto forte: essi scesero dall’alta valle del Liri, occuparono il territorio in cui risiedevano i Musoni fino a insediarsi nella Pianura Pontina dove si stabilirono a Terracina ( da loro denominata Anxur) in maniera permanente e in modo saltuario ad Anzio. Anche gli Equi mossero dall’Appennino centrale verso la valle del Trerus ( corrispondente all’odierna Sacco) e poi nella vallata tra i colli Albani e i Lepini per poi cercare di operare congiuntamente con i Volsci in direzione di Anzio. Questi interventi convergenti verso i colli Albani da est e da sud-est spiegano il motivo dell’alleanza stipulata tra città latine dopo la vittoria su Porsenna e che nel 493 venne sottoscritta anche da Roma con il Foedus Cassianum. Nel 486 anche gli Ernici, popolazione residente a est dell’attuale Ciociaria, sottoscrissero il patto.
Il Foedus Cassianum si configurava come una vera e propria alleanza militare: una clausola stabiliva che se uno dei contraenti veniva aggredito, gli alleati gli avrebbero dovuto prestare soccorso, suddividendo poi l’eventuale bottino di guerra. Era vietato poi farsi la guerra, chiamare nemici e farli transitare sul proprio territorio. Vi era anche una clausola concernente i rapporti commerciali che stabiliva che le eventuali controversie sui contratti privati avrebbero dovuto essere regolate entro il decimo giorno dalla loro stipulazione nel luogo nel quale esse erano state concluse.
La critica moderna per un certo periodo ha contestato l’autenticità del patto, che oggi non viene più messa in discussione soprattutto per ciò che concerne la parte militare , confermata dallo stato dei rapporti vigenti con Ernici e i Latini durante il V secolo, corrispondenti a quanto ci è stato tramandato . Il testo del patto risulta essere stato presente in Roma fino all’età repubblicana avanzata in una colonna bronzea posta nel Foro.
Sia Roma, indebolita dai contrasti tra patrizi e plebei, sia i Latini andarono incontro a difficoltà in questo periodo: nel 477 l’esercito romano, costituito quasi esclusivamente da membri della gens Fabia, subì un rovescio ad opera di Veio con l’agguato del fiume Cremera e nel 460 i Sabini guidati da Appio Erdonio occuparono la Rocca Capitolina che venne liberata grazie agli aiuti provenienti da Muscolo. A loro volta i Latini si trovarono più volte in difficoltà a causa delle incursioni degli Equi, che spintisi sui Colli Albani, giungevano sul Monte Algido per cercare di prendere alle spalle Muscolo e poi sfondare a nord dove , insieme ai Volsci ,premevano sino alle mura di Roma ( la leggenda di Coriolano che si oppone ai Volsci e si riferisce proprio a queste vicende).
La figura di Cincinnato che abbandona il suo lavoro dei campi e si rimette alla volontà dei senatori che gli conferiscono l’incarico di dittatore con il compito di difendere la sicurezza di Roma dalle invasioni degli Equi, da lui battuti sul monte Algido, testimonia al di là del valore storico del racconto, del quadro sociale contadino e del sentimento patriottico di cui era permeata l’Urbe in quel tempo.
L’alleanza militare intensificò le relazioni tra Romani e Latini. Ai Latini spettava presidiare il fronte meridionale poiché Roma doveva fronteggiare a nord gli Etruschi di Veio e a nord-est i Sabini. Il comando militare veniva esercitato a turno ed è appunto da questo periodo che a Roma il magister popoli, che nel periodo di maggiore pericolo riuniva nella sua persona i poteri ordinariamente gestiti dai due consoli, cominciò a chiamarsi con ilo titolo di dittatore nome abitualmente portato dai comandanti federati delle genti latine.
I Latini fondarono due colonie: una a Norba, sui monti Lepini: da qui potevano molestare i Volsci con rapide sortite sulla pianura Pontina ; l’altra a Signia, a nord degli stessi Lepini, con la quale miravano a controllare il sud della vallata che li separava da i colli Albani nella quale si infiltravano gli Equi per tenersi aperta la via verso Anzio. Alleato dei Latini, c'era il popolo degli Ernici nel contrasto agli Equi e Volsci. Altre città come Gora , sui Lepini, Praeneste, sopra la valle del Trerus, e Tivoli, alle falde dei monti Sabini, grazie alle loro alture fortificate furono in grado di portare avanti una politica autonoma. E infatti di esse non si fa cenno nella tradizione.
Sin dall’inizio del V secolo a.C. la pressione dei Volsci era molto forte: essi scesero dall’alta valle del Liri, occuparono il territorio in cui risiedevano i Musoni fino a insediarsi nella Pianura Pontina dove si stabilirono a Terracina ( da loro denominata Anxur) in maniera permanente e in modo saltuario ad Anzio. Anche gli Equi mossero dall’Appennino centrale verso la valle del Trerus ( corrispondente all’odierna Sacco) e poi nella vallata tra i colli Albani e i Lepini per poi cercare di operare congiuntamente con i Volsci in direzione di Anzio. Questi interventi convergenti verso i colli Albani da est e da sud-est spiegano il motivo dell’alleanza stipulata tra città latine dopo la vittoria su Porsenna e che nel 493 venne sottoscritta anche da Roma con il Foedus Cassianum. Nel 486 anche gli Ernici, popolazione residente a est dell’attuale Ciociaria, sottoscrissero il patto.
Il Foedus Cassianum si configurava come una vera e propria alleanza militare: una clausola stabiliva che se uno dei contraenti veniva aggredito, gli alleati gli avrebbero dovuto prestare soccorso, suddividendo poi l’eventuale bottino di guerra. Era vietato poi farsi la guerra, chiamare nemici e farli transitare sul proprio territorio. Vi era anche una clausola concernente i rapporti commerciali che stabiliva che le eventuali controversie sui contratti privati avrebbero dovuto essere regolate entro il decimo giorno dalla loro stipulazione nel luogo nel quale esse erano state concluse.
La critica moderna per un certo periodo ha contestato l’autenticità del patto, che oggi non viene più messa in discussione soprattutto per ciò che concerne la parte militare , confermata dallo stato dei rapporti vigenti con Ernici e i Latini durante il V secolo, corrispondenti a quanto ci è stato tramandato . Il testo del patto risulta essere stato presente in Roma fino all’età repubblicana avanzata in una colonna bronzea posta nel Foro.
Sia Roma, indebolita dai contrasti tra patrizi e plebei, sia i Latini andarono incontro a difficoltà in questo periodo: nel 477 l’esercito romano, costituito quasi esclusivamente da membri della gens Fabia, subì un rovescio ad opera di Veio con l’agguato del fiume Cremera e nel 460 i Sabini guidati da Appio Erdonio occuparono la Rocca Capitolina che venne liberata grazie agli aiuti provenienti da Muscolo. A loro volta i Latini si trovarono più volte in difficoltà a causa delle incursioni degli Equi, che spintisi sui Colli Albani, giungevano sul Monte Algido per cercare di prendere alle spalle Muscolo e poi sfondare a nord dove , insieme ai Volsci ,premevano sino alle mura di Roma ( la leggenda di Coriolano che si oppone ai Volsci e si riferisce proprio a queste vicende).
La figura di Cincinnato che abbandona il suo lavoro dei campi e si rimette alla volontà dei senatori che gli conferiscono l’incarico di dittatore con il compito di difendere la sicurezza di Roma dalle invasioni degli Equi, da lui battuti sul monte Algido, testimonia al di là del valore storico del racconto, del quadro sociale contadino e del sentimento patriottico di cui era permeata l’Urbe in quel tempo.
L’alleanza militare intensificò le relazioni tra Romani e Latini. Ai Latini spettava presidiare il fronte meridionale poiché Roma doveva fronteggiare a nord gli Etruschi di Veio e a nord-est i Sabini. Il comando militare veniva esercitato a turno ed è appunto da questo periodo che a Roma il magister popoli, che nel periodo di maggiore pericolo riuniva nella sua persona i poteri ordinariamente gestiti dai due consoli, cominciò a chiamarsi con ilo titolo di dittatore nome abitualmente portato dai comandanti federati delle genti latine.
I Latini fondarono due colonie: una a Norba, sui monti Lepini: da qui potevano molestare i Volsci con rapide sortite sulla pianura Pontina ; l’altra a Signia, a nord degli stessi Lepini, con la quale miravano a controllare il sud della vallata che li separava da i colli Albani nella quale si infiltravano gli Equi per tenersi aperta la via verso Anzio. Alleato dei Latini, c'era il popolo degli Ernici nel contrasto agli Equi e Volsci. Altre città come Gora , sui Lepini, Praeneste, sopra la valle del Trerus, e Tivoli, alle falde dei monti Sabini, grazie alle loro alture fortificate furono in grado di portare avanti una politica autonoma. E infatti di esse non si fa cenno nella tradizione.
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domenica 4 aprile 2010
I Feziali
I Feziali ( o feciali) erano un collegio sacerdotale dell'antica Roma che aveva il compito di vigilare sul rispetto dei trattati e del del diritto internazionale dell'Urbe.
I loro numero era di venti eletti per cooptazione, prima solo tra i patrizi e successivamente anche tra i plebei. Il collegio, era presieduto dal magister fetialum e creava e custodiva lo ius fetiale associabile al nostro diritto internazionale pubblico. Il loro compito era quello di valutare le situazioni in cui far aprire o cessare le guerre, eseguendo le relative formalità giuridiche e religiose; inoltre si occupavano della stipulazione dei trattati di alleanza e si pronunciavano sulle estradizioni sollecitate da Roma o richieste da governi stranieri.
Le loro ambascerie ( composta di due o quattro membri) guidate da un pater patratus populi romani, operante, cioè, in nome del popolo romano, provvedevano a effettuare la dichiarazione di guerra con il lancio di un giavellotto oltre il confine del nemico. Con il tempo questo rito divenne puramente simbolico e il lancio del giavellotto avveniva in un terreno appositamente allestito nel tempio della Dea Bellona, fuori dall'Urbe. Il collegio dopo essere stato soppresso da Augusto venne ripristinato da Claudio, ma svuotato dei suoi poteri e in tal modo sopravvisse fino al IV secolo d.C.
I loro numero era di venti eletti per cooptazione, prima solo tra i patrizi e successivamente anche tra i plebei. Il collegio, era presieduto dal magister fetialum e creava e custodiva lo ius fetiale associabile al nostro diritto internazionale pubblico. Il loro compito era quello di valutare le situazioni in cui far aprire o cessare le guerre, eseguendo le relative formalità giuridiche e religiose; inoltre si occupavano della stipulazione dei trattati di alleanza e si pronunciavano sulle estradizioni sollecitate da Roma o richieste da governi stranieri.
Le loro ambascerie ( composta di due o quattro membri) guidate da un pater patratus populi romani, operante, cioè, in nome del popolo romano, provvedevano a effettuare la dichiarazione di guerra con il lancio di un giavellotto oltre il confine del nemico. Con il tempo questo rito divenne puramente simbolico e il lancio del giavellotto avveniva in un terreno appositamente allestito nel tempio della Dea Bellona, fuori dall'Urbe. Il collegio dopo essere stato soppresso da Augusto venne ripristinato da Claudio, ma svuotato dei suoi poteri e in tal modo sopravvisse fino al IV secolo d.C.
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giovedì 1 aprile 2010
L'arte longobarda

Il termine "arte longobarda" ha acquisito negli ultimi tempi una connotazione storica più che etnica: con esso si indica il complesso delle opere artistiche realizzate durante il periodo di dominazione germanica in Italia, cioè da quando quel popolo germanico valicò le Alpi fino per creare un regno nell'Italia centro settentrionale fino al termine di quel dominio avvenuto con la conquista da parte di Carlo magno nel 774. Negli oggetti di produzione longobarda, per lo più le armi ed i gioielli ritrovati nelle loro tombe, posso no essere rintracciati i tratti caratteristici di tutta l’oreficeria barbarica dove il vivace cromatismo, ottenuto mediante l'uso di smalti e pietre preziose, è abbinato alla semplicità delle forme di tipo geometrico. Durante la dominazione longobarda la scultura si incentra sopratutto sull'arredo architettonico con motivi decorativi a rilievo; dai tratti assai più incerti invece risultano le produzioni figurative tozze e piatte. Tuttavia in questo periodo emergono opere di grande qualità come gli affreschi di Castelseprio ed il tempietto di Cividale, a testimonianza che il retaggio della cultura antica non è andato del tutto perduto.
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domenica 21 marzo 2010
L'editto di Rotari, primo codice scritto di leggi dei Longobardi
Nel 643, a Pavia venne promulgato dal re Rotari (636-654) il primo codice di leggi scritte dei Longobardi: per la prima volta si affermava il il potere legiferante di un sovrano longobardo. Il codice venne scritto in lingua latina, retaggio della tradizione giuridica romana; tuttavia il contenuto era assolutamente estraneo al diritto romano trattandosi di norme tribali a cui erano state aggiunte nuove norme più recenti; ad esse rimanevano sottoposti solo i Longobardi, mentre tra i Romani rimaneva vigente il loro diritto. Il testo,a noi noto come "Editto di Rotari", è composto di 388 articoli di leggi. Rotari ammise di averlo messo insieme "con grande fatica e lunghissime veglie…, cercando e ricordando le antiche leggi dei nostri padri che non erano state scritte", ricorrendo spesso alla memoria degli anziani, custodi di norme che venivano trasmesse di generazione in generazione per via orale. Qualche decennio più tardi Il prologo dell'Editto venne integrato con l'antica storia della migrazione del popolo longobardo (Origo gentis langobardorum), un testo che, verrà utilizzato come fonte negli ultimi anni dell’VIII secolo da Paolo Diacono (720 ca.-799) per la sua Storia dei Longobardi (Historia langobardorum).
venerdì 19 marzo 2010
Dal Lago Regillo al Foedus Cassianum: Romani e Latini nella prima età repubblicana
Allontanatasi la minaccia dell'etrusco Porsenna, i Romani nel frattempo si erano dati un nuovo ordinamento trasferendo il potere supremo dal re a due pretori, probabilmente i comandanti dei due reggimenti costituenti l’esercito politico, ma lasciando al re l’adempimento delle funzioni sacrali. Roma riprese ad assumere una posizione di preminenza nel Lazio e siglò un trattato con Cartagine in base al quale si vedeva riconosciuto il controllo del litorale laziale in cambio dell’accettazione della supremazia cartaginese sulle rotte marittime. Ma le forze latine ,che avevano sperimentato ad Aricia cosa potevano fare unendo le loro forze, assunsero un atteggiamento ostile ai Romani. Da qui lo scontro militare che si ebbe nel 496 al lago Regillo: la tradizione assegna la vittoria ai Romani, e la notizia del successo venne portata a Roma dai Dioscuri, i due fratelli figli di Giove e Leda.
In realtà sembra che al Lago Regilio non ci furono ne vinti ne vincitori visto che solo tre anni dopo Romani e latin i strinsero tra loro un alleanza.
Il motivo di tale accordo è da ricercarsi nel prorompere di un nemico comune: le bande di Equi e Volsci che cominciavano a premere sul confine laziale. Il patto stipulato venne tramandato con il nome di Foedus Cassianum dal nome di Spurio Cassio, uno dei due pretori- consoli che promosse l’accordo. L’alleanza con i Latini durerà per un secolo un mezzo: in questo frangente i Romani avranno modo di addestrarsi ulteriormente nell’arte di governo e in quella militare, premessa al successivo dominio che riusciranno a imporre sull’intera penisola.
In realtà sembra che al Lago Regilio non ci furono ne vinti ne vincitori visto che solo tre anni dopo Romani e latin i strinsero tra loro un alleanza.
Il motivo di tale accordo è da ricercarsi nel prorompere di un nemico comune: le bande di Equi e Volsci che cominciavano a premere sul confine laziale. Il patto stipulato venne tramandato con il nome di Foedus Cassianum dal nome di Spurio Cassio, uno dei due pretori- consoli che promosse l’accordo. L’alleanza con i Latini durerà per un secolo un mezzo: in questo frangente i Romani avranno modo di addestrarsi ulteriormente nell’arte di governo e in quella militare, premessa al successivo dominio che riusciranno a imporre sull’intera penisola.
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giovedì 18 marzo 2010
Dai Winilli ai Longobardi. L'origine del popolo dei "lungabarba"
La leggenda tramandataci dalla tradizione orale sulle origini mitiche dell popolo longobardo narra che, durante la migrazione dalla Scandinavia, i Winnili "tutti nel fiore della gioventù ma pochissimi di numero" uscirono vincitori dallo scontro con i più potenti e numerosi Vandali grazie all'intervento del dio Wotan. Per celare l'inferiorità numerica i Winnili si presentarono in battaglia con le loro donne, le quali avevano "i capelli sciolti intorno al viso così da farli sembrare barbe" di uomini. Il travestimento era stato loro suggerito dalla dea Frea, moglie del dio Wotan che le aveva anche invitate a disporsi in modo che il marito affacciandosi dalla sua finestra che volge ad oriente le potesse vedere. E difatti quando Wotan chiese "Chi sono questi dalle lunghe barbe?" ebbe come risposta da Fea la richiesta di fare vincere quel popolo a cui lui aveva dato il nome. Wotan la esaudì e così con il nuovo nome, nasceva un nuovo popolo.
Paolo Diacono che nell'VIII secolo scrisse la storia del suo popolo ormai convertito al cristianesimo, liquidò tale racconto come una "favola ridicola"; Tuttavia egli precisò: "È certo però che i Longobardi, che prima erano detti Winnili, furono chiamati così in un secondo tempo per la lunghezza della barba mai toccata dal rasoio". Dunque le origini dei Longobardi sono collegate al culto di Wotan-Odino, detto anche "lungabarba", una delle divinità oggetto di maggior venerazione da parte dei popoli germanici delle steppe orientali. la loro etnia si formò probabilmente all'inzio dell'era cristiana nella regione del Basso Reno o della Bassa Elba e che dopo una migrazione di più secoli si spostarono verso est, nell'odierna Austria.. Quando nel 568 il loro capoi Alboino decise di scendere verso l'Italia ad essa si unirono gruppi di Sassoni, Gepidi, Bulgari e Svevi stanziati in quella zona.
Paolo Diacono che nell'VIII secolo scrisse la storia del suo popolo ormai convertito al cristianesimo, liquidò tale racconto come una "favola ridicola"; Tuttavia egli precisò: "È certo però che i Longobardi, che prima erano detti Winnili, furono chiamati così in un secondo tempo per la lunghezza della barba mai toccata dal rasoio". Dunque le origini dei Longobardi sono collegate al culto di Wotan-Odino, detto anche "lungabarba", una delle divinità oggetto di maggior venerazione da parte dei popoli germanici delle steppe orientali. la loro etnia si formò probabilmente all'inzio dell'era cristiana nella regione del Basso Reno o della Bassa Elba e che dopo una migrazione di più secoli si spostarono verso est, nell'odierna Austria.. Quando nel 568 il loro capoi Alboino decise di scendere verso l'Italia ad essa si unirono gruppi di Sassoni, Gepidi, Bulgari e Svevi stanziati in quella zona.
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mercoledì 17 marzo 2010
Indice: la prima Roma repubblicana
Dal Lago Regillo al Foedus Cassianum: Romani e Latini nella prima età repubblicana
Le Leges Liciniae Sextiae: l'accesso dei plebei al consolato
L'alleanza tra Romani e Latini contro le incursioni di Equi e Volsci ( prima metà del V secolo a.C)
La battaglia del monte Algido ( 431 a.C.) Aulo Postumio Tuberto
I Romani sui Colli Albani. L'ascesa dei plebei con la lex Iulia e la lex Canuleia
A Fidanae primi scontri tra Roma e Veio
Roma conquista Veio ( 396 a.C.)
Marco Furio Camillo, dux fatalis
I Galli di Brenno assediano Roma.Verità storica e leggende delle incursioni nel IV secolo A.c.
Brenno: nome proprio gallico o titolo di comando?
Volsci, Equi, Falisci, Tarquinia si rivoltano a Roma. L'incorporazione di Tuscolo ( prima metà IV secolo a.C.)
Roma e le tensioni con Ernici, Tarquinia e Caere . Le Tabulae Ceritium
L'alleanza di Roma con Sanniti ( 354 a.c) e Cartagine ( 348 a.c.)
La deditio di Capua a Roma e la prima guerra sannitica
Roma sconfigge la Lega Latina (338 a.C) e associa Cuma e Capua
Le Leges Liciniae Sextiae: l'accesso dei plebei al consolato
L'alleanza tra Romani e Latini contro le incursioni di Equi e Volsci ( prima metà del V secolo a.C)
La battaglia del monte Algido ( 431 a.C.) Aulo Postumio Tuberto
I Romani sui Colli Albani. L'ascesa dei plebei con la lex Iulia e la lex Canuleia
A Fidanae primi scontri tra Roma e Veio
Roma conquista Veio ( 396 a.C.)
Marco Furio Camillo, dux fatalis
I Galli di Brenno assediano Roma.Verità storica e leggende delle incursioni nel IV secolo A.c.
Brenno: nome proprio gallico o titolo di comando?
Volsci, Equi, Falisci, Tarquinia si rivoltano a Roma. L'incorporazione di Tuscolo ( prima metà IV secolo a.C.)
Roma e le tensioni con Ernici, Tarquinia e Caere . Le Tabulae Ceritium
L'alleanza di Roma con Sanniti ( 354 a.c) e Cartagine ( 348 a.c.)
La deditio di Capua a Roma e la prima guerra sannitica
Roma sconfigge la Lega Latina (338 a.C) e associa Cuma e Capua
giovedì 11 marzo 2010
INDICE: I Longobardi
Dai Winilli ai Longobardi. L'origine del popolo dei "lungabarba"
L'Italia longobarda e bizantina. Città e campagna: la penisola divisa in due
Contro le razzie dei Longobardi anche l'hospitalitas fu inutile
L'arte longobarda
Il tempietto longobardo di Cividale del Friuli (VIII secolo)
Agilulfo
La lamina di Agilulfo
L'editto di Rotari, primo codice scritto di leggi dei Longobardi
Cani a cavallo: i cinocefali Longobardi
L'Italia longobarda e bizantina. Città e campagna: la penisola divisa in due
Contro le razzie dei Longobardi anche l'hospitalitas fu inutile
L'arte longobarda
Il tempietto longobardo di Cividale del Friuli (VIII secolo)
Agilulfo
La lamina di Agilulfo
L'editto di Rotari, primo codice scritto di leggi dei Longobardi
Cani a cavallo: i cinocefali Longobardi
giovedì 4 marzo 2010
La fioritura artistica nella Spagna visigota del VII secolo
Proprio mentre in altre parti d’Europa, e specialmente in Italia, l’arte era in pieno declino, in Spagna durante il regno visigoto si andò registrando una notevole fioritura artistica con la creazione di forme di assoluta bellezza e notevole originalità, dovuta anche al fatto che i Visigoti intensificarono i contatti con l’Africa e ridussero quelli con il mondo latino.
Pregevole fu l’architettura visigota del VII secolo: allora vennero costruite piccole chiese a pianta breve e larga e abside rettangolare, in cui la varietà dei motivi decorativi si univa alla sapienza costruttiva ereditata dai Romani. Toledo divenuta nel 580 capitale del regno, diventa il centro di irradiazione di questa nuova scuola architettonica caratterizzata dalla ricchezza dei fregi scultorei in cui si mischiano elementi differenti: quelli classici e bizantini e le influenze africane, egiziane e siriache. Un elemento di discontinuità con il passato risiede nelle tipologie dei capitelli costruiti in pietra nella Spagna gota che così abbandona il marmo tipico dello stile classico. Una tradizione che nemmeno l’invasione araba riuscirà a fermare, come testimoniato dalle chiese asturiane del del IX e X secolo, costruite secondo i canoni dettati dai visigoti.
Pregevole fu l’architettura visigota del VII secolo: allora vennero costruite piccole chiese a pianta breve e larga e abside rettangolare, in cui la varietà dei motivi decorativi si univa alla sapienza costruttiva ereditata dai Romani. Toledo divenuta nel 580 capitale del regno, diventa il centro di irradiazione di questa nuova scuola architettonica caratterizzata dalla ricchezza dei fregi scultorei in cui si mischiano elementi differenti: quelli classici e bizantini e le influenze africane, egiziane e siriache. Un elemento di discontinuità con il passato risiede nelle tipologie dei capitelli costruiti in pietra nella Spagna gota che così abbandona il marmo tipico dello stile classico. Una tradizione che nemmeno l’invasione araba riuscirà a fermare, come testimoniato dalle chiese asturiane del del IX e X secolo, costruite secondo i canoni dettati dai visigoti.
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giovedì 25 febbraio 2010
Il contesto storico della frase di Gesù: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Relativismo e lealismo verso il politico
La posizione di Gesù di Nazareth nei confronti dell’autorità politica è riportata nella famosa frase del vangelo di Marco (12,13-17) “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che Dio” che reciterà una parte fondamentale nella costituzione del pensiero politico “cristiano” successivo. Essa è diventato un caposaldo nella riflessione sulla separazione tra la sfera religiosa e quella politica; ma al di fuori di ogni generalizzazione va ricondotta al suo originario contesto.
In quel passo Gesù viene interrogato dai farisei sulla liceità di pagare il tributo ai rappresentanti di Cesare come segno della sottomissione al potere romano della Giudea, divenuta provincia dell’impero ( tributum capitis). Si tratta dell’apodotè, termine che indica il pagamento del tributo inteso come dovuto all’autorità legittimo dal punto di vista del lealismo farisaico e invece considerato illegale da alcuni settori dell’ebraismo ( in particolare i ribelli denominati "sicari") secondo i quali il pagamento del tributo a Cesare significava il riconoscimento di un Signore alternativo a Jahvè,e dunque era da considerarsi un atto idolatrico.
La risposta di Gesù si compone di due parti. La prima (“Date a cesare quel che è di Cesare”), riconosce la liceità del pagamento del tributo all’autorità legittima inserendosi dunque nel solco del lealismo dei farisei ( il gruppo più rilevante all’interno del giudaismo del tempo di Gesù; sostenitori dell’immortalità dell’anima, in ciò contrapposti ai sadducei). Ma nel proseguo della frase ( “Date a Dio quel che è di Dio”), pur senza alcuna politicizzazione propria del messianismo regale ebraico, Gesù non esprime una posizione di neutralità nei confronti dell’autorità, che viene relativizzata in quanto posta in antitesi alla dimensione spirituale su cui si deve concentrare l’attenzione e la completa devozione. Per un verso Gesù riconosce il dovere di pagare il tributo a Cesare in quanto rispetto dell’autorità, legittimo nell’ambito mondano, senza che ciò diventi un atto di idolatria in quanto l’imperatore non viene sacralizzato. E a chiarirlo è proprio l’immediata successiva precisazione che l’uomo appartiene soltanto a Dio.
In quel passo Gesù viene interrogato dai farisei sulla liceità di pagare il tributo ai rappresentanti di Cesare come segno della sottomissione al potere romano della Giudea, divenuta provincia dell’impero ( tributum capitis). Si tratta dell’apodotè, termine che indica il pagamento del tributo inteso come dovuto all’autorità legittimo dal punto di vista del lealismo farisaico e invece considerato illegale da alcuni settori dell’ebraismo ( in particolare i ribelli denominati "sicari") secondo i quali il pagamento del tributo a Cesare significava il riconoscimento di un Signore alternativo a Jahvè,e dunque era da considerarsi un atto idolatrico.
La risposta di Gesù si compone di due parti. La prima (“Date a cesare quel che è di Cesare”), riconosce la liceità del pagamento del tributo all’autorità legittima inserendosi dunque nel solco del lealismo dei farisei ( il gruppo più rilevante all’interno del giudaismo del tempo di Gesù; sostenitori dell’immortalità dell’anima, in ciò contrapposti ai sadducei). Ma nel proseguo della frase ( “Date a Dio quel che è di Dio”), pur senza alcuna politicizzazione propria del messianismo regale ebraico, Gesù non esprime una posizione di neutralità nei confronti dell’autorità, che viene relativizzata in quanto posta in antitesi alla dimensione spirituale su cui si deve concentrare l’attenzione e la completa devozione. Per un verso Gesù riconosce il dovere di pagare il tributo a Cesare in quanto rispetto dell’autorità, legittimo nell’ambito mondano, senza che ciò diventi un atto di idolatria in quanto l’imperatore non viene sacralizzato. E a chiarirlo è proprio l’immediata successiva precisazione che l’uomo appartiene soltanto a Dio.
domenica 21 febbraio 2010
La cripta del monastero di Jouarre

L’abbazia di Jouarre, una delle sette presenti nella Marna fu fondata nel VII secolo da Adone, sulla scia dell’apostolato compiuto nella zona dall’irlandese San Colombano. Tra gli edifici del complesso monastico di particolare pregio la cripta della basilica cimiteriale di Saint-Paul, che rappresenta una delle più rilevanti testimonianze dell’arte precarolingia.
La cripta venne costruita su iniziativa del vescovo Agilberto, ritiratosi intorno al 670 presso il monastero amministrato dalla sorella, la badessa Teodechilde, ove fu sepolto.
La cripta, posta in origine dietro l’abside della Chiesa, è suddivisa in tre navate con una doppia fila di colonne marmoree, con volte a crociera che nel XII secolo, furono costruite a sostituite l’iniziale copertura piana o a volta a botte.
La ricchezza delle forme e l’uso dei materiali non locali testimoniano della destinazione aristocratica della costruzione. Le colonne provengono da antichi monumenti andati in rovina, mente i capitelli sono stati appositamente scolpiti. Alcune di essi hanno forme corinzie, altre sono di tipo composito ma tutti sembrano provenire da officine situate nel VII secolo sui Pirenei e trasportati prima via mare e poi sulla Senna e sulla Marna.
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venerdì 12 febbraio 2010
Il crollo della monarchia a Roma. La storia conferma la tradizione
Al posto del re subentrarono nel detenere il supremo potere dello Stato due consoli, che inizialmente furono chiamati pretori. Costoro nel 509, lo stesso anno della caduta di Tarquinio eressero un tempio in onore di Giove in Campidoglio e conclusero un trattato con Cartagine.
Gli storici per molto tempo hanno dato poco credito alla versione narrataci dalla tradizione, ritenendola in alcuni casi una totale invenzione degli annalisti succubi della ideologia del tempo favorevole all’aristocrazia dominante. Le interpretazioni date alla caduta della monarchia erano le più varie: secondo alcuni sarebbe stato lo stesso Porsenna a deporre Tarquinio per subentrarne nel controllo di Roma; per altri invece la monarchia non sarebbe caduta con un rivolta improvvisa ma avrebbe perso progressivamente il proprio potere per rimanere come istituzione esclusivamente avente funzione religiosa e formale. In realtà le successive risultanze provenienti dall’epigrafia, dalla toponomastica, dalla linguistica e dall’archeologia hanno restituito alla tradizione pieno valore. Ovviamente le vicende di Orazio Coclite, Muzio Scevola e Clelia non sono che leggende volte a celebrare il valore dei Romani. Ma anch’esse ci danno preziosi indicazioni su quanta importanza essi dessero al patriottismo o a valori come la castità espressi da personaggi come Lucrezia. Dietro alle nobili leggende si nascondeva probabilmente una realtà inconfessabile per quella che già allora era una potenza come Roma: una sconfitta pesante subita da persona con annessa l’umiliazione della consegna delle armi, testimoniata dalle versioni etrusche ma non negata dalle fonti romane.
A confermare la validità storica della tradizione ci sono altri elementi: l’avversione in età storica che i Romani avevano per la monarchia è da ricercarsi non tanto in un influsso retorico greco quanto nel ricordo di un evento traumatico avvenuto nel passato quale appunto la cacciata improvvisa di un re. In secondo luogo la già citata occupazione di Roma da parte di Porsenna ormai storicamente accertata; infine il fatto che la battaglia di Aricia che è stata registrata dalla coeva storiografia greca (nella storia d’Italia di Antioco da Siracusa e nella biografia di Aristodemo scritta da Imperoco da Cuma).
Sulla base dei vari dati disponibili si può provare a fare una ricostruzione di come andarono probabilmente quegli avvenimenti. Tarquinio impose uno sviluppo urbanistico e un’espansione militare che mise a dura prova i Romani. Da questi malumori nacque la spinta per il complotto contro il re attuato dai patrizi. La deposizione di Tarquinio rappresentava anche una rivalsa dell’aristocrazia contro gli ultimi re etruschi che si erano appoggiati sui nuovi ceti in formazione: plebei, immigrati e i clienti emancipati questi ultimi valorizzati da Servio Tullio.
Il controllo di Roma e del suo territorio interessava però le città dell’Etruria meridionale per i contatti commerciali che dovevano mantenere con la Campania: per questo il re di Chiusi Porsenna scese a cingere d’assedio la città che alla fine dovette essere costretta a capitolare dovendo subire anche l’affronto del disarmo ( proibizione dell’uso del ferro, tranne che per l’agricoltura)
Intanto sui Colli Albani si venne formando una coalizione dei città latine formate da Aricia, Muscolo, Lanuvio, località che si erano espanse dopo la caduta di Alba Longa. Porsenna inviò un esercitò ma fu sconfitto dalla coalizione sostenuta dal tiranno di Cuma Aristodemo. Poi a causa di vicende interne di Chiusi, di cui si ignorano i dettagli, Porsenna fu costretto con il suo esercito a rientrare abbandonando anche il controllo di Roma.
Gli storici per molto tempo hanno dato poco credito alla versione narrataci dalla tradizione, ritenendola in alcuni casi una totale invenzione degli annalisti succubi della ideologia del tempo favorevole all’aristocrazia dominante. Le interpretazioni date alla caduta della monarchia erano le più varie: secondo alcuni sarebbe stato lo stesso Porsenna a deporre Tarquinio per subentrarne nel controllo di Roma; per altri invece la monarchia non sarebbe caduta con un rivolta improvvisa ma avrebbe perso progressivamente il proprio potere per rimanere come istituzione esclusivamente avente funzione religiosa e formale. In realtà le successive risultanze provenienti dall’epigrafia, dalla toponomastica, dalla linguistica e dall’archeologia hanno restituito alla tradizione pieno valore. Ovviamente le vicende di Orazio Coclite, Muzio Scevola e Clelia non sono che leggende volte a celebrare il valore dei Romani. Ma anch’esse ci danno preziosi indicazioni su quanta importanza essi dessero al patriottismo o a valori come la castità espressi da personaggi come Lucrezia. Dietro alle nobili leggende si nascondeva probabilmente una realtà inconfessabile per quella che già allora era una potenza come Roma: una sconfitta pesante subita da persona con annessa l’umiliazione della consegna delle armi, testimoniata dalle versioni etrusche ma non negata dalle fonti romane.
A confermare la validità storica della tradizione ci sono altri elementi: l’avversione in età storica che i Romani avevano per la monarchia è da ricercarsi non tanto in un influsso retorico greco quanto nel ricordo di un evento traumatico avvenuto nel passato quale appunto la cacciata improvvisa di un re. In secondo luogo la già citata occupazione di Roma da parte di Porsenna ormai storicamente accertata; infine il fatto che la battaglia di Aricia che è stata registrata dalla coeva storiografia greca (nella storia d’Italia di Antioco da Siracusa e nella biografia di Aristodemo scritta da Imperoco da Cuma).
Sulla base dei vari dati disponibili si può provare a fare una ricostruzione di come andarono probabilmente quegli avvenimenti. Tarquinio impose uno sviluppo urbanistico e un’espansione militare che mise a dura prova i Romani. Da questi malumori nacque la spinta per il complotto contro il re attuato dai patrizi. La deposizione di Tarquinio rappresentava anche una rivalsa dell’aristocrazia contro gli ultimi re etruschi che si erano appoggiati sui nuovi ceti in formazione: plebei, immigrati e i clienti emancipati questi ultimi valorizzati da Servio Tullio.
Il controllo di Roma e del suo territorio interessava però le città dell’Etruria meridionale per i contatti commerciali che dovevano mantenere con la Campania: per questo il re di Chiusi Porsenna scese a cingere d’assedio la città che alla fine dovette essere costretta a capitolare dovendo subire anche l’affronto del disarmo ( proibizione dell’uso del ferro, tranne che per l’agricoltura)
Intanto sui Colli Albani si venne formando una coalizione dei città latine formate da Aricia, Muscolo, Lanuvio, località che si erano espanse dopo la caduta di Alba Longa. Porsenna inviò un esercitò ma fu sconfitto dalla coalizione sostenuta dal tiranno di Cuma Aristodemo. Poi a causa di vicende interne di Chiusi, di cui si ignorano i dettagli, Porsenna fu costretto con il suo esercito a rientrare abbandonando anche il controllo di Roma.
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