domenica 23 settembre 2007

le bugie (presunte) di Montanelli

Secondo Renata Broggini, ricercatrice svizzera autrice di "Passaggio in Svizzera. L’anno nascosto di Indro Montanelli” il celebre giornalista di Fucecchio non fù condannato a morte a san Vittore dalle SS per attività antifascista, ( non vi è traccia” della condanna, scrive la Broggini) né tantomeno dopo l’8 settembre, fu “organizzatore della stampa clandestina partigiana” per conto del Comitato di Liberazione Nazionale. Cosi come risulterebbe falso il suo racconto della strage di Piazzale Loreto, il reportage sull’accanimento della folla sui corpi del Duce e di Claretta Petacci. Stando alla ricostruzione del libro, Montanelli era rifugiato in Svizzera ( lasciando anche in mano ai tedeschi come ostaggio la moglie Margarethe de Colins de Tarsiennee ?), come testimonierebbero gli archivi elevetici , passò il confine il 22 maggio 1945. Quasi tre settimane dopo la fucilazione di Mussolini e della sua amante, avvenuta il 27 aprile. Accuse gravi a cui purtroppo Montanelli non è in grado di replicare.

fonte

Invocazione a Maometto in antica abbazia

Un’invocazione a Maometto incisa sulla facciata dell’antica abbazia di Santa Maria di Vezzolano ad Albugnano, paese in provincia di Asti: e’ la scoperta di un’archeologa iraniana che ha finalmente decrittato una scritta per anni rimasta misteriosa. L’incisione si trova su una formella di ceramica posta sulla bifora della chiesa e, si scopre ora, e’ la ripetizione della formula ‘Allah Mohammad’ (Allah Maometto), scritta in caratteri cufici. Resta ancora il mistero di come la formella sia arrivata secoli fa all’abbazia astigiana, chiesa che secondo una leggenda sarebbe stata fondata da Carlo Magno. Possibile che la ciotola sia stata portata ad Albugnano da un crociato come ex voto, oppure potrebbe essere arrivata attraverso i commerci degli arabi che popolavano la Sicilia nel nono secolo.

fonte: AGI

L'asta sui diari di Mussolini

È una vera e propria asta milionaria, quella che si sta scatenando intorno ai presunti diari di Benito Mussolini, riapparsi l'inverno scorso dopo oltre mezzo secolo di oblio. A svelare la caccia planetaria ai documenti, forse vergati dal Duce - agende di cui peraltro non è ancora accertata l'originalità - è stata la Televisione Svizzera Italiana, lo scorso 20 settembre, durante la trasmissione Il Quotidiano. L'emittente ticinese, dopo anni di chiacchiere, polemiche e illazioni, ha mostrato per la prima volta al pubblico i cinque diari, rivelandone parte del contenuto e alcuni suggestivi retroscena.
Non è stato svelato, invece, il nome del proprietario dei documenti. Il legale del possessore delle agende, Massimiliano Schiavi, un avvocato ticinese, si è limitato a fornire soltanto alcuni particolari. «Posso dire che il proprietario non è il figlio del partigiano Renzo Bianchi - ha detto l'avvocato Schiavi ai microfoni della Tsi - ma un imprenditore italiano della zona di confine, non necessariamente domiciliato in Italia e in possesso dei diari da molti anni».
Elementi nuovi, dunque, ma al contempo molto generici, visto che, oltre alla province di Como e Varese, confina con la Svizzera anche uno spicchio di Piemonte. Qualche indicazione in più è giunta sull'ipotetico valore dei cinque diari, quantificato dai giornalisti della Tsi in «vari milioni di franchi». Una cifra altissima, che comunque non ha fermato i possibili acquirenti, visto che il legale del proprietario ha parlato di «almeno due offerte serie, oltre a moltissime altre da parte di case editrici e collezionisti di tutto il mondo, ma specialmente inglesi».
Come detto, nemmeno il nodo sull'effettiva attribuibilità a Benito Mussolini delle cinque agende è stato sciolto. Sono però state citate le risultanze dell'ultima perizia calligrafica compiuta sulle pagine, che confermerebbe la scrittura di un'unica mano dei diari, l'assenza della cosiddetta scrittura simulata, ossia l'imitazione di una calligrafia altrui da parte dell'estensore, e la piena compatibilità della carta e dell'inchiostro impiegati nel periodo narrato nelle agende, vale a dire dal 1° gennaio 1935 al 16 ottobre 1939.
Numerose, però, anche le incongruenze riscontrate. Tra le più clamorose, alcune discrepanze temporali molto sospette, la forte similitudine di alcuni passaggi con articoli di giornale apparsi sui quotidiani dell'epoca, e persino un errore nella data di nascita dello stesso Benito Mussolini. Tra le ipotesi a sostegno della reale scrittura dei diari da parte del Duce, invece, è stata citata l'autenticità postuma dei documenti, ossia la loro redazione (per mano del capo del fascismo) in un momento in realtà successivo alle date riportate sulle pagine. Per quanto riguarda l'aspetto delle agende, la conservazione è apparsa notevole, sebbene a tutte e cinque manchino le copertine originali. Nel dettaglio, poi, i diari degli anni 1935 e 1937 presentano alcune pagine bianche prima dei capitoli, mentre quella relativa al 1939 è preceduta da undici fogli scritti non rilegati.
Riguardo al contenuto, non vi sarebbero novità esplosive, ma soprattutto descrizioni della vita pubblica e privata dal capo del fascismo con tanto di resoconti di incontri ufficiali, colloqui e ampi capitoli dedicati alla guerra d'Africa, ai rapporti con Adolf Hitler e con il re. Ciò che emerge dagli estratti è comunque un Mussolini affatto convinto sia della prospettiva di entrare in guerra, sia della stessa alleanza con i nazisti. Nella pagina del 1° gennaio 1935, si legge: «Le gioie saranno poche, le ansie molte, ma il coraggio di andare avanti non cadrà mai».
«Io temo che la pace, questo simbolo euforico e inverosimilmente sfuggente, si stia allontanando pian piano da noi per prendere il volo e disperdersi nell'infinito. E io voglio, ho bisogno della pace, ma penso non ci sarà. Nessuno mi aiuta, nessuno. La Francia e l'Inghilterra fanno finta di non vedere e non sentire, la Germania non si ferma e non si fermerà. Stupirà tutti per quanto saprà fare».
Nell'ultima pagina, il 16 dicembre 1939, si legge: «Abbiamo saputo dell'attacco alla Polonia quando le forze tedesche erano già scese in campo. Non siamo amici dei tedeschi, ma non possiamo e non vogliamo esserlo nemmeno degli altri. Il nostro destino è già segnato, voglia il cielo che sia stata scelta la strada giusta».
venerdì 21 settembre 2007

IL DOPING NELL'ANTICHITà: I SEMI DI SESAMO

I semi di sesamo, potrebbero essere il primo doping della storia, anche se attualmente nessun elenco di sostanze proibite li contempla. Di sicuro c’è il fatto che il solo possedere un sacchetto di semi di sesamo da parte di un atleta partecipante alle Olimpiadi, poteva significare l’esclusione dai Giochi, ma anche tutta una serie di sanzioni, che poteva addirittura sfociare nella condanna a morte dello stesso atleta, pena ben severa se rapportata a quelle attuali, specie in alcuni sport.
La strategia alimentare era già in voga e l’incremento dietetico di proteine già rientrava ad esempio, nella preparazione di Milone da Siracusa. Pare che il vitellino servisse da “carico” per l’atleta che doveva esercitarsi a correre e a fare esercizi con il vitello sul collo, ma pare anche che lo stesso vitello servisse per incrementare e non poche le quantità di carne che l’atleta era solito assumere. Tra gli altri prodotti utilizzati semi di svariate piante, funghi, pozioni preparate da questo o quello “stregone”, ma anche carni tipiche, quale quella di maiale, o i famosi testicoli di toro, probabilmente dei prodotti precursori degli attuali ormoni testosteroidei.
Tra i primissimi reintegratori di sicuro l’acqua, utilizzata a grandi mani nelle manifestazioni che si tenevano in genere in luoghi aperti e sotto il sole cocente dei periodi estivi. Questa acqua spesso era “arricchita” di semi ed intrugli i più vari, talvolta con semplice sale (cloruro di sodio, l’attuale sale da cucina), capace di essere uno dei più validi ed antichi reintegratori salini. Da considerare come il cloruro di sodio resti nella sua veste di reintegratore, in vita fin nei primi decenni del ‘900, allorquando lo ritroviamo ancora come valido reintegratore nelle prove di maratona, utilizzato alle Olimpiadi Moderne di Roma del 1960. Unico problema del cloruro di sodio resta quello di rendere l’acqua da bere particolarmente dolciastra e per molti soggetti gastrorepellente.
Da valutare anche che già nel 4000 prima di Cristo, in Mesopotamia si conosceva il papavero da oppio e molti ne facevano uso per sfruttarne le proprietà euforizzanti. Di certo lo conoscevano anche i greci, i romani e prima di loro gli egiziani. Nel 1800 i prodotti da esso derivati vengono commercializzati in larga scala dall’Inghilterra, che nel frattempo era diventata una dei grandi produttori di questa pianta.
Nel frattempo sempre in terra inglese e nel 1700, uno sport antico, ma rivalutato e rinominato, la boxe, permette ai contendenti che si alternano sul ring di ingurgitare grandi quantità di alcool. Una forma certamente “sperimentata” per dimenticare sia il posto nel quale ci si trova, che per sopportare meglio i colpi dell’avversario, euforizzando e non di poco le proprie imprese. Ma dell’alcool si parla anche nell’antica Grecia, allorquando si parla di ben dieci litri di vino al giorno, ingurgitato dagli atleti della solita scuola di Milone. Un quantitativo che ci pare un tantino alto, anzi forse meglio sarebbe dire alticcio e che di sicuro più che preparare atleti serviva ad allenare buoni ubriaconi.
Di certo dall’era antica ci arriva anche il primo esame antidoping, si trattava del controllo dell’alito degli atleti, metodo alquanto semplicistico, ma tendente proprio a scoprire chi avesse ingurgitato grandi quantità di alcool.