giovedì 25 febbraio 2010

Il contesto storico della frase di Gesù: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Relativismo e lealismo verso il politico

La posizione di Gesù di Nazareth nei confronti dell’autorità politica è riportata nella famosa frase del vangelo di Marco (12,13-17) “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che Dio” che reciterà una parte fondamentale nella costituzione del pensiero politico “cristiano” successivo. Essa è diventato un caposaldo nella riflessione sulla separazione tra la sfera religiosa e quella politica; ma al di fuori di ogni generalizzazione va ricondotta al suo originario contesto.
In quel passo Gesù viene interrogato dai farisei sulla liceità di pagare il tributo ai rappresentanti di Cesare come segno della sottomissione al potere romano della Giudea, divenuta provincia dell’impero ( tributum capitis). Si tratta dell’apodotè, termine che indica il pagamento del tributo inteso come dovuto all’autorità legittimo dal punto di vista del lealismo farisaico e invece considerato illegale da alcuni settori dell’ebraismo ( in particolare i ribelli denominati "sicari") secondo i quali il pagamento del tributo a Cesare significava il riconoscimento di un Signore alternativo a Jahvè,e dunque era da considerarsi un atto idolatrico.
La risposta di Gesù si compone di due parti. La prima (“Date a cesare quel che è di Cesare”), riconosce la liceità del pagamento del tributo all’autorità legittima inserendosi dunque nel solco del lealismo dei farisei ( il gruppo più rilevante all’interno del giudaismo del tempo di Gesù; sostenitori dell’immortalità dell’anima, in ciò contrapposti ai sadducei). Ma nel proseguo della frase ( “Date a Dio quel che è di Dio”), pur senza alcuna politicizzazione propria del messianismo regale ebraico, Gesù non esprime una posizione di neutralità nei confronti dell’autorità, che viene relativizzata in quanto posta in antitesi alla dimensione spirituale su cui si deve concentrare l’attenzione e la completa devozione. Per un verso Gesù riconosce il dovere di pagare il tributo a Cesare in quanto rispetto dell’autorità, legittimo nell’ambito mondano, senza che ciò diventi un atto di idolatria in quanto l’imperatore non viene sacralizzato. E a chiarirlo è proprio l’immediata successiva precisazione che l’uomo appartiene soltanto a Dio.

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