domenica 16 maggio 2010

La lamina di Agilulfo



La Lamina di Agilulfo è un opera prodotta da orafi longobardi del VII secolo attualmente conservata nel Museo nazionale del Bargello a Firenze.
La scena mostra il re Agilulfo che siede in trono come un imperatore romano in una scena di trionfo; ai lati troviamo le vittorie alate ed il suo seguito.
Il sovrano longobardo dalla lunga barba è in una posa rigida e frontale, mentre benedice con la mano destra e stringe la spada con la sinistra. Ad assisterlo due guerrieri, con indosso armature sul modello germanico con scudi borchiati; sul capo elmi conici con pennacchio .
Le vittorie aprono il corteo dei vinti che si prostrano supplici con le mani protese per rendono omaggio ad Agilulfo; dietro di loro si vedono due scudieri che portano le corone dei vinti, a riconoscimento dell'acquisita autorità del trionfatore.
L'opera pur caratterizzata da rozzezza nelle forme, evidenzia però un senso plastico e la ricerca di un modellato tondeggiante da parte degli artisti . Pregevole anche la descrizione dettagliata dei costumi dei personaggi raffigurati
sabato 1 maggio 2010

Gli Equi

Gli Equi erano una popolazione italica che abitava fra il lago Fucino e Rieti, nelle valli dell'Aniene e dell'Imelle a contatto con Marsi Ernici e Sabini e, per un certo periodo, con i volsci.
Non possediamo iscrizioni che consentano uno studio della loro lingua è ciò rende difficile capire a quale stirpe italica appartenessero. Si è associata la forma latina del loro nome, Aequi, con alcuni nomi di località dell'Irpinia (Aecae, Aequum Tuticum ed Aeclanum) e da qui si è pensato una loro affinità con i Sanniti. Ma è anche possibile che la loro denominazione facesse riferimento ai rapporti di uguaglianza reciproca tra i loro vari gruppi. Con Aequicoli erano designati gli Equi insediati nella valle dell'Imelle.
Durante il V secolo A.C, gli Equi furono alleati dei Volsci in conflitti quasi continui con Roma ; tra questi vanno rammentati quello del 458 a. C. (sulla cui storicità molti studiosi hanno dubbi) e quella del 431 in cui i Romani conquistarono il monte l'Algido (sui colli Albani, dominante la valle del Sacco) spezzando così le relazioni con i Volsci.
Grazie alle necropoli possiamo farci un idea della loro complessa organizzazione sociale: a Corvaro di Borgorose (Rieti) è stato rinvenuto un grande tumulo sepolcrale di 50 m di diametro con circa 70 sepolture e risalenti al periodo trail VI-V sec. a. C. e l'età tardo repubblicana. Dai loro corredi appaiono chiari i contatti che gli Equi intrattenevano con i Sabini e le popolazioni dell'area picena
per ciò che concerne i rapporti con Roma essi risalirebbero al VI secolo e Tarquinio il Superbo avrebbe stipulato un trattato con gli Equi. Nella guerra del 458 ci sarebbe stato l'episodio di Cincinnato che, dopo aver liberato il console Minucio circondato dagli Equi nel suo campo, costrinse questi ultimi a passare sotto il giogo. Nel 443 gli Equi posero sotto assedio Ardea, ma furono vinti dal console M. Geganio. quindi si accamparono sull'Algido da cui partivano per le loro scorrerie nel Lazio spingendosi fino al territorio di Tuscolo e della stessa Roma; ma nel 431 guidati da Vettio Messio subirono una dura sconfitta sull'Algido da parte dittatore Aulo Postumio Tuberto . Nonostante quanto riportato dalla tradizione dei vincitori romani i continui scontri avvenuti sull'Algido sono indice di un'alternanza di successi e fanno capire quanto la situazione sia stata a lungo equilibrata e quanto gli Equi siano stati pericolosi per i romani per tutto il V secolo a.C. Nel 389 gli Equi si scontrarono nuovamente contro Roma ma vennero sconfitti da Furio Camillo presso Bola. L'anno seguente si fa riferimento a una nuova spedizione contro gli Equi che probabilmente è una reduplicazione della guerra precedente. Da quel momento gli Equi non verranno più menzionati nella tradizione romana fino al termine della seconda guerra sannitica, quando nel 304 vennero sconfitti e soggiogati definitivamente dal console P. Sempronio Sofo. Nel loro territorio vennero create due colonie militari a Carseoli e ad Alba Fucens: agli Equi fu concessa la civitas sine suffragio, e tra essi venne creata la tribù Aniensis. Anche gli Aequicoli (o Aequicolani) ottennero la civitas sine suffragio, vendendo raggrupati nella tribù Claudia