martedì 29 marzo 2011

Contro le razzie dei Longobardi anche l'hospitalitas fu inutile

Cacciati dagli Avari, i Longobardi lasciarono la Pannonia per giungere, attraverso il Fiuli, in Italia nel 568 (o 569 secondo alcuni storici), sotto la guida de re Alboino. Subito presero il controllo delle principali città della pianura padana: Treviso, Vicenza, Verona, Milano e Pavia. la successiva penetrazione nella penisola venne invece porta avanti su iniziativa di singoli duchi, ( da cui sarebbero sorti i ducati di Spoleto e Benevento). La carica regia difatti era utilizzata come elemento unificante nelle condizioni critiche di guerra e migrazioni, per il resto i centri di potere facevano capo alle singole tribù spesso in lotta tra loro. Questa conflittualità interna è all'origine degli omicidi che avevano colpito Alboino (572) ed il suo successore Clefi (574) e del successivo vuoto del potere centrale durato per un decennio fino all'elezione di Autari nel 584.
I Longobardi erano una popolazione che a differenza di altri barbari avevano avuto pochi contatti con la cultura romana. Un'estraneità che in questo primo periodo si tradusse in saccheggi, chiese devastate , espropri, eliminazione della classe senatoria nella penisola reduce da venti anni di guerra tra goti e bizantini.
Per questo risultarono con loro problematici i tentativi di applicare il diritto di hospitalitas ( la concessione di un terzo delle terre o delle tasse ai nuovi dominatori) e ciò produsse un vero e proprio esproprio di terre che la popolazione non aveva finora mai dovuto subire. Questa netta separazione tra Longobardi e gente romani segnò un punto si frattura tale che alcuni storici fanno partire il Medioevo proprio in concomitanza con l'invasione longobarda.
mercoledì 23 marzo 2011

Paolo di Tarso: origine divina del potere politico

L'atteggiamento verso il potere politico di Paolo di Tarso è comprensibile analizzando la sua biografia . Mentre Gesù di Nazareth, svolge la sua attività di profeta itinerante esclusivamente nei villaggi all'interno dei confini della Palestina senza contatti diretti con l'autorità romana, Paolo è un cittadino romano, nato a Tarso in Cilicia un centro urbano in cui fioriva quella cultura ellenistica di cui egli stesso era imbevuto; viaggiatore instancabile, è un profondo conoscitore di quel mondo ellenizzato in cui svolge la sua predicazione. Inoltre Paolo era un fariseo e in quanto tale il suo pensiero è dominato dal problema della legge. Per questo Paolo assume la posizione di lealismo politico tipica del fariseismo.
Difatti nella lettera ai Romani (13,1-7) Paolo sostiene che qualsiasi autorità proviene da Dio ed è da lui ordinata. L'ordine politico comprende tre livelli: coloro che sono investiti dell'autorità da Dio, i sudditi che devono sottomettersi a quest'ordine; e coloro che invece si ribellano all'autorità. Ogni autorità in quanto proveniente da Dio è legittima ed è compito del credente rispettarla indipendentemente dalla sua natura, buona o cattiva. Ma quest'obbedienza non dev'essere incondizionata: vale anche per Paolo il principio enunciato negli Atti degli Apostoli (5, 29) "bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini"; in caso di conflitto etico deve prevalere la coscienza deve indirizzarsi verso Dio. Il punto più rilevante della dottrina paolina sta nell'origine divina del potere politico, che in quanto parte di un ordine voluto da Dio non può essere malvagio.
Lo sfondo del suo pensiero resta però apocalittico-escatologico. Nella lettera ai Flippesi (3,20) scrive : "la nostra cittadinanza ( politeuma) è però nei cieli dove attendiamo anche, come Salvatore ,il nostro Signore Gesù Cristo". Dunque per Paolo di Tarso lo stato terreno non è che transitorio per il cristiano, che deve tendere allo stato celeste: l'unica vera cittadinanza è quella connessa allo status di appartenente alla polis celeste ( vedi anche 1Cor. 6,1-11). Una concezione della comunità cristiana in rapporto al potere politico che avrà notevoli fortune e che troverà la sua definitiva formulazione nella città di Dio di Agostino.