martedì 27 settembre 2011

I Rotoli del Mar Morto sul sito web del Museo d'Israele


Il Museo d'Israele a Gerusalemme in collaborazione con Google ha digitalizzato e messo a disposizione del pubblico sul suo sito Internet i Rotoli del mar morto. Finora sono visibili cinque manoscritti tra cui quello di Isaia, quasi nella sua interezza, la cui redazione è databile attorno al 125 a.C. Le immagini sono ingrandibili ad alta risoluzione ( fino a 1200 megapixel) per consentire di esaminarne i più piccoli dettagli e al documento è associata una traduzione in inglese. I Rotoli furono scoperti nel 1947 in una grotta a Qumran, luogo in cui duemila anni fa si era insediata una comunità di esseni. Essi vengono considerati documenti fondamentali per ricostruire l'evoluzione del pensiero religioso montoteista.

I Rotoli di Qumran sono consultabili al sito : http://dss.collections.imj.org.il/
domenica 18 settembre 2011

Il riconoscimento internazionale del nuovo regno d'Italia ( 1861-1866)

Il 17 marzo 1861 il Parlamento appena insediato votò la legge con cui veniva proclamata la nascita del nuovo stato italiano e Vittorio Emanuele II assumeva per se e suoi successori il titolo di re d'Italia. Già all'indomani, la diplomazia italiana si mobilitava per ottenere quel riconoscimento richiesto dal diritto internazionale e necessario per assicurare la stabilità e la sicurezza dei confini, per ottenere lo scambio degli ambasciatori, partecipare all'attività della comunità delle nazioni e creare rapporti politici e commerciali con gli altri Stati. Immediatamente il presidente del Consiglio e ministro degli esteri Camillo Benso Conte di Cavour comunicava il "memorabile evento" tramite le varie legazioni di Torino presenti negli altri Stati: "la legalità costituzionale ha così' consacrato l'opera di giustizia e di riparazione che ha restituito l'Italia a se stessa". Quelle di Cavour non erano parole di sola circostanza giacché al moto di simpatia con cui in molte nazioni era stata seguita la vicenda del movimento unitario italiano si erano contrapposti atteggiamenti di diffidenza per la rapidità e la spregiudicatezza con cui era sorto il Regno d'Italia.
Dal punto di vista dei grandi Stati europei le annessioni territoriali compiute dal Piemonte sabaudo erano una violazione delle clausole previste dal trattato di Zurigo del 1859 e sopratutto erano avvenute ignorando il diritto pubblico europeo del tempo basato sul "concerto europeo" delle potenze ( Francia, Gran Bretagna, Prussia, Austria, Russia), unico organismo deputato a modificare lo status quo sulla base di quanto emerso dai congressi di Vienna e Acquisgrana. Inoltre le operazioni sabaude erano state portate avanti sulla base del principio di autodeterminazione in lesione del legittimismo dinastico,altro pilastro del sistema di Vienna. In poche parole l'unificazione italiana si configurava come un vero e proprio atto eversivo e rivoluzionario, condotto seguendo quei principi che più mettevano a rischio l'equilibrio instaurato dalla potenze che dunque avevano ragione di preoccuparsi che anche il seguito della politica italiana potesse danneggiare la stabilità dell'ordine continentale improntato alla conservazione.
Ecco dunque il senso delle parole con cui il Cavour annunciava alle cancellerie mondiali la nascita del nuovo stato: assicurare che l'Italia sorgeva nel rispetto della legittimità del diritto europeo e smetteva definitamente i panni della nazione rivoluzionaria. Però se da una parte il presidente del Consiglio prendeva le distanze dai metodi utilizzati nel percorso unitario, per contro non rinnegava affatto i principi che li avevano ispirati: se non avesse difeso il principio di nazionalità avrebbe minato le fondamenta di un'unificazione ancora precaria e automaticamente dato un segnale di rinuncia dei diritti italiani su Roma e Venezia.
L'Inghilterra fu il primo Stato a riconoscere il Regno d'Italia ( 30 marzo) confermando così la propria benevolenza da tempo manifestata verso il processo unitario. Seguirono gli Stati Uniti ( 13 aprile) , quindi l'Impero ottomano, i paesi scandinavi, l'Argentina e il Messico. L'Inghilterra era favorevole al nuovo Stato in previsione del ruolo che esso avrebbe potuto giocare nel contenere le ambizioni francesi nel Mediterraneo, un mare che con il taglio dell'istmo di Suez in corso ( sarebbe stato completato nel 1869) acquisiva notevole importanza anche per gli inglesi permettendo di accorciare i collegamenti per l'India e il sud-est asiatico. Lord Parlmeston scrivendo alla regina Vittoria sottolineva: "il Regno d'Italia non parteggerà con la Francia per pura parzialità verso di essa, e quanto sarà più forte tanto sarà più sarà capace di resistere alla coercizione della Francia".
La Francia che durante la guerra all'Austria era stata un'insostituibile alleata attenderà il 15 giugno 1861 per comunicare il suo riconoscimento. Quali erano le ragioni di una tale esitazione? In primo luogo l'evoluzione che la questione italiana aveva preso era assai differente dai progetti di Parigi, esplicitati dall'accordo di Plombieres: i desiderata di Napoleone III riguardavano un Regno dell'alta Italia di circa dieci milioni di abitanti nell'ambito di una federazione di Stati sotto la guida del Papa: un progetto che avrebbe lasciato impregiudicata l'influenza francese; cosa ben diversa era trovarsi di fronte a una penisola unita sotto la dinastia sabauda a formare un regno di 26 milioni di abitanti che per di più non nascondeva le sue aspirazioni sul Mediterraneo. Inoltre l'imperatore francese doveva far fronte all'irritazione degli ambienti clericali d'oltralpe per la perdita di territori subita dallo Stato pontificio. Napoleone cercò inutilmente di trovare una soluzione che salvaguardasse il potere temporale del Papa con proposte azzardate come quella di concedere a Pio IX il controllo della Sardegna, cosa che oltretutto avrebbe fornito alla Francia una base di appoggio nel mezzo del Mediterraneo. Questa proposta fu respinta dal Cavour: per alcune settimane la tensione tra i due Paesi si accrebbe in maniera palpabile e la Francia arrivò a ritirare il suo ambasciatore. Ma pur nella consapevolezza dell'errore commesso nell'agevolare l'unificazione italiana, lo sdegno di Napoleone non poteva arrivare sino al punto da rinnegare così repentinamente l'aiuto prestato e pochi giorni dopo la scomparsa di Cavour anche da Parigi giunse il riconoscimento.
Per Russia e Prussia invece si dovrà attendere fino al luglio 1862: entrambe erano ancorate ai principi della Santa Alleanza e guardavano con preoccupazione all'affermazione dei valori di autodeterminazione e nazionalità connessi all'unificazione italiana. Inoltre l'indignazione per l'invasione dei territori pontifici aveva provocato il ritiro degli ambasciatori di Russia e Spagna: quest'ultima riconoscerà l'Italia solo nel 1865, mentre le chiusure legittimiste russe verranno presto sacrificate all'esigenza di consolidare i buoni rapporti con la Francia.
Apertamente ostili al processo unitario rimanevano Austria e Stato pontificio. L'impero asburgico aveva perso con la Lombardia una delle proprie province più ricche e aveva ragione di guardare con timore alle rivendicazioni italiane verso Venezia: il riconoscimento verrà rifiutato fino al 1866 quando sarà concesso come parte integrante del trattato con l'Italia, conseguente alla sconfitta nella guerra con i prussiani. Il Papato aveva perso due terzi del proprio territorio ed era consapevole che lo Stato pontificio rimaneva precariamente in piedi solo grazie alla presenza delle truppe francesi a Roma, momentaneamente sufficienti ad arginare le velleità sabaude e garibaldine.

fonti:
F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Laterza 1990
D. Mack Smith, il risorgimento. Storia e testi, Laterza 1987
G. Mammarella- P. Cacace, La politica estera dell'Italia, Laterza, 2010
L. Saiu, La politica estera italiana dall'Unità a oggi, Laterza, 1999
domenica 11 settembre 2011

Architettura di Selinunte. L'acropoli

acropoli selinunte
L'antica Selinunte si estendeva sulle colline dell'Acropoli e di Manuzza tra due corsi d'acqua siciliani: il Gorgo Cottone ad est e il Modione ( l'antico Selinon) a ovest. Alle foci dei fiumi si trovavano due porti. Attorno al 560 a.C. venne costruita una zona templare la cui richezza aveva pochi eguali in tutto il mondo greco e che rese la città tra i centri più rilevanti dell'isola. Si è calcolato che per la sola costruzione del tempio E vennero spese risorse pari a 25 miliardi di euro attuali. Al giorno d'oggi purtroppo di quella magnificenza restano per lo più delle rovine.

selinunte strada verso l'acropoli
La città monumentale sorgeva sull'acropoli, dalla caratteristica forma a chitarra su una collina che scendeva a picco sul mare; ancora oggi è ben visibile l'impianto urbano del VI secolo con la strada principale che tagliava al centro la città e le trasversali che seguivano la direttrice est ovest.



il tempio C di selinunteAll'interno dell'acropoli cinta da poderose mura, ricostruite più volte il tempio C, è il più antico tra quelli identificabili: la sua edificazione è datata attorno al 560 a.C. Si tratta di un edificio dorico con un colonnato perimetrale ( periptero) con sei colonne sui lati brevi e diciassette su quelli lunghi. Al suo interno altre quattro colonne introducevano al pronao. Di particolare interesse le metope raffiguranti una quadriga con Apollo e Artemide, Perseo che uccide la Gorgone,Ercole che cattura i Cercopi e, posta al centro del timpano, una testa di Gorgone policroma.

L'attiguo tempio tempio D segue uno schema planimetrico simile a quello C. Se ne differenzia per le ridotte dimensioni in virtù dell'eliminazione della seconda fila di colonne in antis.

tempio d selinunte

Nel tempio D è stata ritrovata un'iscrizione che fa supporre che fosse dedicato al culto di Atena. Dell'attiguo tempio O, anch'esso in stile dorico, rimane ben poco: databile tra il 490 e il 460 a.C. si tratta di un periptero con sei colonne sul lato breve e quattordici colonne sul lato lungo. La sua struttura è simile a quella del tempio A costruito più a sud attorno alla metà del V secolo a.C. e di cui purtroppo non restano che rovine.

fonti:
Moses Finley, gli antichi greci, Einaudi 1968
Moses Finley, Storia della Sicilia Antica, Laterza 1985
Giorgio Giulini, L'architettura, in Sikanie,: storia e civilta della Sicilia greca IVAG, MIlano 1986
Giancarlo Buzzi, Antonio Giuliano, Magna Grecia e Sicilia Mondadori , 2000
lunedì 5 settembre 2011

Dopo l'anno Mille la città ritorna protagonista

L' anno Mille rappresenta non solo uno spartiacque simbolico del passaggio tra Alto e Basso Medioevo. Dopo questa data avviene un fatto di eccezionale importanza: torna a manifestarsi lo sviluppo delle città. Si inverte l'equilibrio di forze tra ambiente urbano e rurale che nei secoli precedenti aveva visto quest'ultimo prevalere. Lo sviluppo demografico favorisce la crescita economica accompagnata da innovazioni in campo agricolo, manifatturiero, finanziario e scientifico. Gli scambi riprendono frequenza con Amalfi, Pisa, Genova e Venezia che sviluppano legami commerciali con il mediterraneo orientale. Si creano nuovi insediamenti umani che intaccano i tradizionali poteri esercitati dalla nobiltà feudale sulle popolazioni locali.
Le città si ingrandiscono e pur continuando a riconoscere l'autorità imperiale, vanno alla ricerca di una loro autonomia economica e politica: in Italia prendono il nome di comuni, in Europa assumono varie altre denominazioni ( ad es. ville in Francia, borghi nei Paesi Bassi).
Si diffondono nuove mentalità e lo schema tripartito della società medievale ( oratores, bellatores, laboratores- preti, guerrieri, contadini) si apre alle nuove istanze di secolarizzazione e alle esigenze prodotte dall'urbanesimo. I laboratores che prima dell'anno Mille si identificano sopratutto con i contadini, divengono sempre più anche artigiani. I nuovi ceti produttivi tendono ad associarsi per difendere la propria attività: nascono le gilde, le arti e le corporazioni con propri codici di comportamento ( statuti).
Si costituiscono aggreegazioni di liberi cittadini per il governo autonomo delle città. Nei comuni l'organizzazione politica e giurisdizionale prevedeva un assemblea popolare ( che assunse varie denominazioni: concione, parlamento, arengo); il consiglio maggiore e il consiglio minore con funzioni di rappresentanza dei ceti e con compiti di affiancare nell'attività esecutiva i consoli, poi sostituiti da un podestà il cui potere venne moderato e controllato da un Capitano del Popolo, espressione appunto della parte popolare della città. All'inizio le cariche più importanti erano appannaggio delle famiglie più potenti ma poi si aprirono anche ai rappresentanti delle corporazioni artigiane. La forza dei diversi Comuni nei confronti dell'autorità tradizionali variava in funzione della capacità di rendersi autonomo sul piano politico e amministrativo tramite l'amministrazione della giustizia l'imposizione di tasse: evidentemente riacquistare un ruolo economico e politico significava per le città entrare in politico con chi deteneva il potere ( imperatori, re, signori feudali). In Italia il processo di formazione della autonomie cittadine incominciò con i comuni nel X secolo e condusse al conflitto con l'imperatore Federico Barbarossa e dopo la vittoria di Legnano (1176) e la pace di Costanza ( 1183) al diritto di emanare proprie leggi. In Germani le più forti città libere crearono la lega Anseatica, una sorta di federazione all'interno dell'impero. In Francia invece le città si allearono con la monarchia nella lotta per svincolarsi dal potere del Papato e dell'Impero.
domenica 4 settembre 2011

Per Ricasoli la resistenza dei borbonici era solo brigantaggio

Durante l'estate del 1861 nel meridione bande di insorti filoborbonici hanno contrastato, con l'appoggio frequente della popolazione locale, l'esercito sabaudo. Allo scopo di dissolvere gli interrogativi che in Europa molti si ponevano riguardo alle motivazioni di questa resistenza al neonato Stato italiano, il presidente del Consiglio Ricasoli diramò una nota diretta agli ambasciatori all'estero e pubblicata il 1 settembre anche sulla Gazzetta del Popolo di Torino in cui il governo dava la sua versione dell'accaduto. Secondo Ricasoli la rivolta non ha alcuna motivazione politica. Forte è la critica verso il disciolto esercito borbonico che pur essendo composto "da 180 mila uomini bene armati si dissolse al cospetto di un pugno di eroi ( I Mille n.d.r.)" e ora "si da al brigantaggio facendo della bandiera borbonica che prima non ha difeso emblema di assassinio e rapina". Infine Ricasoli denunciava la connivenza del governo pontificio , accusandolo di finanziare e distribuire armi e munizioni ai "briganti"

Indice: l'Italia del Risorgimento e dell'Unità

David Gilmour e l'Italia del mancato Risorgimento federale
L'assedio di Gaeta ( 1860-61) e il massacro di Cialdini
Il riconoscimento internazionale del nuovo regno d'Italia ( 1861-1866)
La proposta di Cavour per Roma Capitale. "Libera chiesa in libero Stato"
Per Ricasoli la resistenza dei borbonici era solo brigantaggio