venerdì 27 febbraio 2009

La seconda vita dell'arianesimo. Eusebio di Nicomedia. Il trionfo del cattolicesimo con Teodosio

Nonostante il Concilio di Nicea lo avesse bandito dall'impero, l'arianesimo si mantenne vivo grazie a Eusebio di Nicomedia che dopo aver riottenuto nel 328 la sua sede episcopale a Costantinopoli perfezionò la tattica che garantì agli ariani la sopravvivenza: elaborare cioè formule dottrinarie che formalmente compatibili con le definizioni di Nicea ma che in realtà finivano per svuotarle di contenuti. Quindi dopo aver ottenuto l'approvazione dell'imperatore riusciva a fare in modo che questi ne imponesse la sottoscrizione a tutti tutti i vescovi. Qualora questi si fossero rifiutati sarebbero divenuti automaticamente dei ribelli . Mentre questa situazione rafforzava la tendenza dell'impero al cesaropapismo, con l'imperatore Costanzo II (reggitore dell'Oriente dal 337 al 350 e di tutto l'Impero dal 350 al 361) toccò agli ortodossi subire la persecuzione degli ariani. Il più determinato avversario degli ariani, Atanasio d'Alessandria fu esiliato in Occidente due volte; stesso destino dovette subire Ilario di Poitiers in Oriente. Costanzo II convocò due concili nel 358: uno a Rimini per l'Occidente e uno a Seleucia per l'Oriente con lo scopo di imporre l'arianesimo e debellare l'ortodossia. Costanzo in definitiva non si comportava in maniera molto diversa da Costantino: entrambi volevano imporre la loro visione religiosa. Il metodo era lo stesso, la dottrina teologica seguita opposta. A consentire ai niceni di resistere furono sopratutto le divisioni in seno agli ariani: da un parte i più radicali (anomei; seguaci di Aezio e Eunomio) a sostenere che il Figlio non aveva niente in comune con il Padre; altri (omei) con Acacio di Cesarea affermavano l'esistenza di similitudini tra il Figlio e il Padre; in mezzo i più moderati ammettevano che egli fosse simile nella sostanza al Padre (omoiusiani; o semiariani; Basilio di Ancira). Dopo la scomparsa di Costanzo si ebbe il breve regno di Giuliano l'Apostata (360-363). Quindi si susseguirono degli imperatori che alternarono il proprio favore alle varie interpretazioni cristologiche: Gioviano (363-364), favorì l'ortodossia; seguì Valente che era ariano e sostenne le posizioni degli omei contro i niceni in Oriente; il fratello Valentiniano difese il punto di vista dei niceni favorendone il trionfo in Occidente. Dopo che i padri cappadoci ( Basilio Magno, Gregorio di Nissa e Gregorio Nazianzeno) avevano composto una sorta di compromesso all'insegna della formula ,una sola natura-tre persone, e dopo che papa Damaso riuscì ad affermare la supremazia del vescovo di Roma in tema di formule di fede sui vescovi orientali, nel 378-379 sarà Teodosio prima a imporre il cristianesimo come religione di stato con l'editto di Tessalonica (380) quindi con il concilio di Costantinopoli (381) decreterà definitivamente l'affermazione del credo niceno.Lo scontro tra niceni e ariani segnò un momento di grave crisi per la Chiesa in quanto la speculazione cristologica assunse carattere troppo razionale mettendo in secondo piano gli aspetti della fede. Consentì però anche di approfondire il dogma nel segno del confronto fra le differenti posizioni esistenti in Oriente e Occidente.
L'arianesimo non scomparve del tutto ma si diffuse tra i Barbari (anzitutto tra i Goti da parte di Ulfila, discepolo di Eusebio di Nicomedia)ritardando la fusione tra elemento germanico e romano fino a quando Clodoveo si convertì alla fede cattolica e i popoli germanici stanziati sul territorio imperiale (Visigoti, Ostrogoti, Vandali, Burgundi e Longobardi) accettarono la fede cattolica romana. Ultimi a convertirsi saranno i Longobardi, sotto il regno di Ariperto I, tra il 653 e il 661.
martedì 24 febbraio 2009

INDICE: STORIA DEL CRISTIANESIMO

Il contesto storico della frase di Gesù: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Relativismo e lealismo verso il politico
Paolo di Tarso: origine divina del potere politico
L'arianesimo e il Concilio di Nicea
La seconda vita dell'arianesimo. Eusebio di Nicomedia. Il trionfo del cattolicesimo con Teodosio
Il volto umano di Pio XII
sabato 14 febbraio 2009

L'arianesimo e il Concilio di Nicea

Il cristianesimo dei primi secoli dovette affrontare il problema dell'assestamento dei suoi dogmi. In particolare fu il dibattito attorno alla natura di Gesù al centro delle speculazione teologica delle prime Chiese. In opposizione alla tesi prevalente che sosteneva la divinità del Cristo ebbe particolare diffusione l'arianesimo: infatti a differenza dei teologi che ritenevano che il figlio di Dio avesse la stessa natura divina del Padre, per Ario (un monaco egiziano fondatore di questa corrente) e i suoi seguaci egli è stato generato da Dio, non possiede che una divinità secondaria o subordinata, e a differenza di Dio non è eterno, infinito e onnipotente. Queste tesi erano già state sostenute da alcuni scrittori come Origine ma fu proprio Ario a dare sviluppo a queste formule con una teoria completa.
Ario cominciò a predicare le sue teorie per la prima volta attorno al 320 quando era prete di una delle chiese di Alessandria. Il vescovo di Alessandria convocò un concilio per dirimere la questione ma si dovette scontrare con l'ostinazione di Ario che non intendeva rinunciare alla propria dottrina e che per questo fu scomunicato. A questo punto Ario, abbandonò l'Egitto per recarsi in Palestina e in Bitinia, dove godette dell'ospitalità di Eusebio di Cesarea e poi di Eusebio di Nicomedia ( quest'ultimo godeva dei favori dell'imperatore Costantino) e riuscì con il loro aiuto a fare molti seguaci. Poichè la controversia cristologica si stava diffondendo in tutto l'Oriente, l'imperatore Costantino decise d'intervenire e, fallito un tentativo di conciliazione, convocò nel 325 a Nicea, in Bitinia, un concilio che mise al bando le tesi di Ario e approvò a grande maggioranza la dichiarazione dogmatica (simbolo niceno- costantinopolitano) che proclamava che il Figlio aveva la medesima sostanza (consustanziale in gr. homoúsios) del Padre.
mercoledì 11 febbraio 2009

L'organizzazione dello Stato nell'Antico Egitto

La struttura dello stato egiziano era centralizzata e piramidale, imperniata sulla figura del faraone, vero e proprio dio vivente in quanto figlio del Dio Ra. Il faraone determinava le linee di azione del governo ma ne lasciava l'esecuzione al visir, che era alla guida dell'attività amministrativa . Il visir era al vertice di una struttura in cui operavano i responsabili dei principali settori che costituivano la classe più alta dei funzionari i quali agivano da delegati del re, trasmettendone la volontà , fonte vivente del diritto, in tutto il paese attraverso funzionari locali che avevano i compiti di amministrare la giustizia, occuparsi dell’economia e le finanze,sovraintendere alla realizzazione delle grandi opere e programmare l'attività agricola . La chiave dell'efficacia dell'amministrazione egiziana sta proprio nell'efficiente struttura gerarchica imperniata imperniata sulla fedeltà con cui i funzionari di ogni ordine e grado rispondevano alle direttive dei loro superiori e la correttezza con cui esercitavano il potere sui sottoposti . Lo Stato egiziano nella selezione del personale si ispirava a criteri meritocratici che consentivano una certa ascesa dei più capaci nella scala sociale e favoriva il continuo ricambio della classe dirigenti dei funzionari

INDICE ANTICO EGITTO

Naqada: la preistoria dell'Antico Egitto
L'organizzazione dello Stato nell'Antico Egitto
Con la stele di Rosetta, Champollion svela al mondo i segreti dell'Egitto antico
Enneade: la cosmogonia dell'antico Egitto. Atum, il dio sole, origine dell'universo
venerdì 6 febbraio 2009

Il maestro di palazzo nel regno dei Franchi

Il maestro di palazzo detto anche maggiordomo o signore di palazzo, fece la sua comparsa nell'antico regno dei Franchi sotto i Merovingi, dopo la morte di Clodoveo. Fini per assumere poteri amplissimi quasi alla pari dello stesso re franco: era supremo ufficiale della corte e dello Stato, era il funzionario che sovrintendeva alla gestione del palazzo regio (e per questo era detto maestro di palazzo); in seguito il maestro di palazzo assunse la competenza anche dell'amministrazione delle finanze pubbliche; fu in particolare con Pipino il vecchio che questa figura condivise con il re l'amministrazione della giustizia, assumendo funzioni di rappresentanza del re medesimo fino ad assumere nelle proprie mani ogni potere dello Stato. Con Pipino di Héristal la carica divenne ereditaria e fu da lui trasmessa a Carlo Martello ( il vincitore della battaglia di Poitiers sui musulmani), per poi passare a Pipino il Breve che, visto il potere consolidato nelle sue mani, riuscì a spodestare l'ultimo re fannullone merovingio Childerico III e ricevette l'investitura dal vescovo di Magonza per contro del Papa.

INDICE I FRANCHI

Il significato originario del termine Franchi
Il maestro di palazzo nel regno dei Franchi
Gli Alamanni dalle origini alla sottomissione ai Franchi
La donazione di Quierzy ( o Kiersy)
I Merovingi conquistano la Gallia e si convertono al cristianesimo. I Franchi popolo eletto
Clodoveo I
martedì 3 febbraio 2009

La donazione di Quierzy ( o Kiersy)

Nota anche come Promissio (o Donatio) Carisiaca si tratta di un atto del re dei Franchi Pipino il Breve a favore del papa Stefano II, ( anche se l'autenticità resta dubbia) . Nel 754, Pipino e Stefano si incontrarno a Ponthion, ove vennero presi gli accordi di massima per l'appoggio di Pipino alla Santa Sede contro i Longobardi; quindi il re, e il papa, si trasferirono a Quierzy doive l'accordo venne perfezionato nei dettagli: esso prevedeva la concessione a Pipino della corona di re dei Franchi nonché del titolo di patrizio dei Romani Pipino in cambio dell'impegno a fare la guerra in Italia contro il re dei Longobardi Astolfo per togliere i territori sottratti alla dominazione bizantina e donargli alla Chiesa . l terre oggetto del patto erano la Corsica, le terre dalla Lunigiana a Parma e a Monselice includendo la Tuscia (Toscana e parte del Lazio), l'Esarcato e inoltre la Venezia, l'Istria e i ducati di Spoleto e di Benevento. La donazione, in quanto si configura come «restituzione» al papato di territori un tempo posseduti, poi perduti per effetto di usurpazioni, probabilmente è un'anticipazione della falsa donazione di Costantino, redatta alla corte pontificia forse in quel periodo di tempo. I forti dubbi relativi alla sua autenticità riguardano il fatto che essa non figura nella biografia, pur particolareggiata, di Stefano II né nei documenti carolingi, bensì nella biografia di Adriano I, posteriore di qualche decennio, e si ignora da quale fonte il biografo l'abbia desunta. Essa è importante anche perchè Carlo Magno nel 774 avrebbe rinnovato a Roma, nei confronti di Papa Adriano, la Promissio di Pipino.

domenica 1 febbraio 2009

Altichiero da Zevio


Considerato uno dei massimi artisti del Trecento, di Altichiero da Zevio si hanno notizie documentate per la prima volta a Verona, sua città natale, nel 1369. Ma forse già in precedenza intorno al 1364, il pittore doveva aver lavorato al servizio degli Scaligeri decorando alcuni ambienti della loro residenza, in particolare con le le Storie della guerra giudaica, andate però perdute. Attorno al 1370 Altichiero si trasferì a Padova, probabilmente chiamato dal signore della città, Francesco da Carrara il Vecchio, per decorarne la reggia: è a lui attribuita da antiche testimonianze la decorazione ad affresco della Sala degli Uomini illustri, ispirata nel soggetto al "De viris illustribus" di Francesco Petrarca, anch'essa non pervenutaci . La prima opera che ci è giunta sono le storie di San Giacomo opera commissionata nel 1376 dal condottiero Bonifacio Lupi per la decorazione della cappella di famiglia posta nella Basilica del Santo . Per il lavoro, terminato nel 1379, Altichiero si servì della collaborazione del pittore bolognese Jacopo Avanzi. Per un altro membro della famiglia Lupi, Raimondino, Altichiero affrescò invece l'Oratorio di San Giorgio, nei pressi della Basilica del Santo, per il quale fu pagato nel 1384. Negli ultimi anni della sua vita fece ritorno a Verona dove eseguì probabilmente la Crocifissione nella chiesa di San Zeno (). Non si conosce esattamente la data della morte: le fonti attestano comunque che egli era già scomparso nel 1393.